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Cinque Incompetenti

13 gennaio 2014

L’incompetente torna ad occupare questo spazio virtuale regalandoci ben cinque recensioni cinematografiche di pellicole uscite nel 2012… AMOUR, IMMORTALS, STORAGE 24, PROMISED LAND e HITCHCOOK… Enjoy!

 

Poster Amour

AMOUR (2012)

di Michael Haneke con Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert

Tante volte i film vengono annunciati da frasi tonanti tipo “film dell’anno”, oppure da epitteti clamorosi come “capolavoro”. Spesso però la realtà deve fare i conti con opere ben più modeste e prive di quel qualcosa in più che i veri “capolavori” portano con se.
Questo Amour si presenta come un film essenziale. Girato per lo più in tre o quattro interni (che poi sono le stanze dell’unico appartamento che fa da set a questo lavoro), mette in scena la storia di una coppia di anziani nella quale la moglie a seguito di un problema, inizia una fase degenerativa che la condurrà verso l’inevitabile (non ci sono spoiler, si vede già alla prima scena).
Haneke priva tutto il suo film di vezzi estetici (fatta salva una scena quasi horror, inserita in un contesto particolare), e lascia parlare i due straordinari protagonisti, vivi e reali come raramente capita di assistere.
La sua regia è asciutta e rischiarata solo da luci naturali, senza filtri o esaltazioni estetiche. Del resto la storia che ci narra è cruda e bastarda, perchè talmente vicina alla realtà da sembrare quasi di poterla toccare.
La telecamera non si fa sfuggire nulla, mettendo in mostra la senilità con spietatezza, togliendo ogni speranza e ogni via di fuga. Ogni minimo miglioramento e frustrato da un crollo successivo che porta la situazione sempre più verso un finale inesorabile.
E attorno a un marito devoto che vede la donna della sua vita spegnersi un interruttore alla volta (che brava Riva), compaiono personaggi e momenti che quasi sono il rifiuto di questa situazione. La figlia Huppert, incapace di accettare ciò che sta accadendo e piena di problemi quotidiani da risolvere, o il giovane pianista che il regista decide di mostrarci in attesa, facendoci percepire tutto il suo disagio quando il dramma gli diverrà palese.
L’unica cosa che un pò mi ha fatto storgere il naso è l’aspetto intellettualoide dei personaggi, che paiono spesso fuori portata, almeno nelle conversazioni iniziali. Ma in realtà potrebbe essere un semplice modo di dire che di fronte a certe cose siamo tutti uguali.
E’ un film che parla di musicisti, ma dove la musica praticamente è assente. Perchè l’interesse di Haneke è proprio quello di mostrare tutta la violenza della vita nei suoi ultimi anni, tutto il mondo di solitudine che circonda i malati, destinati a non essere compresi nemmeno da chi li dovrebbe curare.
Solo nel finale il regista si concede un filo di poesia, appena accennata e da cogliere solo se ne si sente il bisogno, perchè in qualsiasi altro momento non c’è pietà. L’unica fortuna è di avere qualcuno capace di rinunciare alla propria vita per dedicarla a quella del malato, perchè senza di esso si sentirebbe perso.

Quindi, per stavolta, frasi tonanti e epiteti clamorosi sono giustificati. Il film è da vedere, ma va affrontato nel modo e nel momento giusto. Perchè non intrattiene, anzi in alcuni momenti i suoi tempi dilatati possono persino respingere. Però ha da offrire molto e una possibilità bisogna dargliela.

‘sera

 

immortals-poster-comic-con

IMMORTALS (2011)

di Tarsem Singh con Henry Cavill, Mickey Rourke, Stephen Dorff, Freida Pinto, Luke Evans, John Hurt, Isabel Lucas

Come i precedenti 300 (di cui ritroviamo i produttori) e Legion, questo Immortals si inserisce in quel filone che cerca di modernizzare i miti greco-romani trasformandoli in fumettoni. E forse, più che nei casi precedenti, questo film mostra il fianco a tutta l’ambiguità che una scelta del genere si porta dietro.
Doverosa premessa: questo lavoro è stato pensato per essere visto in 3D nelle sale: quindi è probabilmente difficile coglierne l’essenza dopo una visone in DVD, anche se si dispone di un buon apparato video. La questione risalta in particolar modo nelle scene in penombra, talmente scure da rendere ostica la lettura dell’espressività nei volti degli attori. Ma, probabilmente, ne risulta inficiata anche la visione degli autori che, in fase di post-produzione, hanno creato delle scenografie spettacolari, aiutati da una fotografia molto marcata che esalta l’aspetto fumettistico dell’opera. Il risultato è stata una visione piuttosto distante di questo lavoro, che di certo non mi ha aiutato ad apprezzarlo.
Ciò nonostante, non ho potuto fare a meno di gradire alcune scelte estetiche, come la straordinaria terrazza sul monte Olympo oppure la meravigliosa dea Athena (al secolo Isabel Lucas) della quale sono da oggi devoto fedele.
Ma andando alla sostanza, non si può non notare come questo film offra veramente poco. Al di la della povertà della sceneggiatura, i cui dialoghi sono talmente banali da poter essere anticipati nella mente prima ancora di ascoltarli sullo schermo, è proprio la trama in se a non offrire alcuno spunto.
Il mito di Teseo è stato impoverito di tutta l’epica che dovrebbe contraddistinguerlo, trasformando il tutto in una storiella di vendetta piena di combattimenti al rallentatore ed effetti speciali.
Ma a dare la mazzata a tutto questo pasticcione è l’ingresso finale degli dei per affrontare il combattimento con i titani. Entrata in scena e posa pre rissa sono degni della Justice League, più che di divinità onnipotenti e immortali. Solo questa sequenza basterebbe per capire il livello di Immortals.
A fare da contorno a tutto questo scempio ci sono attori che di greco antico non hanno nemmeno la punta dei capelli (ma non si tocchi Athena che divento cattivo). Se sentire parlare in un fluente inglese i villani dell’antica Grecia può stonare, ma comunque ci si può anche soprassedere, vedere la compagnia delle Indie in sandali non trova giustificazione.
Uomini scolpiti nella roccia, con espressioni così decise da sembrar truccati e donne di una bellezza quasi esasperante e con movenze sensuali, non immergono proprio lo spettatore in quella che dovrebbe essere la cultura Ellenica. Anche se, a onor del vero, non penso che per il regista questo fosse l’obbiettivo.
Certo, c’è Mickey. Lui la faccia di carta vetrata ce l’ha e anche lo spessore per fornire un’interpretazione che dia un’impronta alla pellicola. Peccato che il suo personaggio non esca dallo schema classico in cui siamo abituati a vedere il cattivo in chiave moderna. Più che un re folle, pare un capo clan assetato di sangue.

Insomma, senza dilungarsi troppo (visto che il film non se lo merita), Immortals è un’opera molto appariscente ma di scarso contenuto, che non fatico a definire semplicemente brutta. Pensare che per una cosa del genere abbiano scomodato la mitologia greca, che ha insegnato la letteratura a tutti, è veramente triste.
Mi dispiace, ma io dico no.

Ciaps

 

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STORAGE 24 (2012)

di Johannes Roberts con Noel Clarke, Colin O’Donoghue, Antonia Campbell-Hughes, Laura Haddock

Uno strano incidente aereo nel centro di Londra provoca strane conseguenze. A subirle un gruppo di persone intrappolate dentro un deposito dal quale, a rigor di logica, le cose non possono uscire.
Questo è il succo di Storage 24, film che fa della suspence la sua missione principale. Lo schema narrativo è piuttosto semplice e collaudato: un gruppo di giovani protagonisti, con il nero, il bianco, le due patate e quello che muore subito, con i loro fastidi e il loro problemi da risolvere. Poi c’è il mostro che li segue, che non si sa mai dov’è e che non ha intenzioni pacifiche.
Come nei classici slasher movie, ai quali un pò si ispira, utilizza il sistema dell’eliminazione dei personaggi uno alla volta, costruendo gran parte della sua essenza nelle attese ingigantite dai rumori lontani, urla disumane e via di questo passo.
Volendo, però, dare anche un certo peso all’azione e avendo a disposizione uno spazio poco sfruttabile in termini di movimento, la trama spesso finisce per arrotolarsi su se stessa, proponendo più volte situazioni simili (stanza buia e chi entra chiede: “c’è nessuno?”). Spesso gli stessi personaggi finiscono per riporporre in loop azioni che sono riuscite corrette la prima volta: come quei simpaticoni che quando riescono a far ridere con una battuta dopo mille milioni di tentativi, la ripetono all’infinito, non rendendosi conto che, una volta raccontata, non funziona più.
La storia, in definitiva, è banalotta e già vista, anche se la trovata finale è davvero riuscita. A dire il vero anche la tensione non è che emerga potente dalla visione, tranne che in rarissime occasioni. Ma una volta che si scopre il gioco degli autori, il trucchetto non funziona più e si finisce per aspettare i momenti splatter, che però latitano.
Trattasi comunque di film a bassissimo costo (spero per loro almeno), il cui aspetto ricorda quello di un cortometraggio girato con una buona fotocamera e allungato all’inverosimile.
Nonostante gli evidenti tentativi di dare senso all’impatto visivo del tutto, infatti, questo lavoro deve fare i conti con una fotografia a tratti fetente, talmente sovra esposta da far scomparire le bianchissime facce delle protagoniste sullo sfondo, quasi come accadeva nei videogiochi del commodore 64 (ricordate? omino bianco su sfondo bianco? no? va beh).
A sorpresa, devo fare un plauso per la realizzazione del mostro. Scegliere di mostrare il cattivone può essere pericoloso, ma i ragazzi di Roberts, in quanto a effetti speciali, sanno il fatto loro e l’alieno (almeno penso che lo sia) è davvero ben curato e incute la giusta forma di rispetto e paura.

Non c’è molto altro da dire. Un film che sta in piedi grazie a una serie di trovate ultra collaudate e a un onesto comparto di effetti speciali. Resta un lavoro guardabile, ma tranquillamente evitabile.

Ciao.

 

promisedlandposter

PROMISED LAND (2012)

di Gus Van Sant con Matt Damon, John Krasinski, Frances McDormand, Hal Holbrook, Rosemarie DeWitt

Ok c’è scritto Van Sant, ma bisogna dimenticarselo. Il buon  Gus, infatti, in questa occasione presta il suo mestiere a Damon e Krasinski, veri autori dell’opera, causa impegni del primo (almeno ufficialmente) che non ha potuto curare a dovere tutti gli aspetti.
Va detto che costruire un secondo sedile su una Red Bull e farsi portare da Vettel a fare la spesa appare quanto meno uno spreco. Infatti l’aspetto visivo è condizionato da una trama semplice a cui la scenggiatura non ha offerto molte possibilità di lavoro.
Ne risulta un film visivamente piatto, con poche inquadrature degne di un grande della regia e praticamente nessuna impennata che lasci ammirati.
L’intento di Damon e del suo amichetto era quelo di fare un film con una forte tematica sociale, in cui lo scontro tra il tiranno multinazionale e il cavaliere dell’ecologia si tramutasse idealmente nel confronto tra i due rappresentatnti delle medesime categorie.
Però lo stile con cui hanno deciso di girare questo film indipendente (co-prodotto dallo stesso Matt, che evidentemente credeva tantissimo a questo progetto), rimane prettamente hollywoodiano, anche se non come si potrebbe pensare. Le suggestioni della collina con la scritta, infatti, non si ritrovano nel tentativo di spettacolarizzare tutto a ogni costo, quanto nella scarsa profondità dei caratteri in gioco.
Il protagonista appare come un bravo ragazzo che fa il lavoro sbagliato, mentre come suo oppositore troviamo un altro bravo ragazzo, magari solo appena un pò arrogante, ma che comunque combatte per la giusta causa.
Chiaro che, a causa di questa mancanza di coraggio nel determinare le caratteristiche, la chiave di volta della storia riesce si a soprendere, ma per assai poco tempo. E , cosa ancor meno piacevole, il finale risulta sovraccarico di sentimenti di cui non si sente il bisogno ed eccessivamente buonista per le conseguenze che le scelte potrebbero portare.
Il tentativo della coppia Damon-Krasinski alla sceneggiatura pare chiaro, ma ciò che dovrebbe essere rappresentato come un duro scontro, si riduce alla faciloneria in stile favola, in cui i cattivi (diciamo così) non entrano mai davvero in scena e in cui tutti vivranno felici e contenti.
Si sarebbe potuto dare più spinta a questo lavoro con un protagonista più deciso (ma sia mai che Damon decida di fare lo stronzo), oppure portando più vicino al centro della storia il personaggio di Holbrook (che avrebbe dato qualcosa in più).

Un film dalle buone intenzioni che però risulta piatto e, forse, persino banale.

Salus

 

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HITCHCOCK (2012)

di Sacha Gervasi con Anthony Hopkins, Helen Mirren, Scarlett Johansson, Jessica Biel, James D’Arcy

 

Come si costruisce un capolavoro? Io proprio non ne ho idea, ma questo film, tra il reale e il romanzato, prova a spiegarcelo. La storia infatti è quella della lavorazione di Psycho, autentico pilastro del cinema mondiale.
Gervasi, pur essendo consapevole di non avere nemmeno un minimo del talento del maestro, propone un inizio tipicamente Hitchcockiano e, nella fattispece, una sequenza che ricorda un sacco quella serie televisiva che il corpulento regista girò tanti anni fa. Al di la di questo omaggio (doveroso direi) il resto del film procede con scelte piuttosto quadrate, preferendo pochi movimenti di macchina e lasciando il campo aperto allo stellare cast.
Giusto negli incontri mentali che AH ha con Rick, l’assassino che ha dato l’idea per la storia di Psycho, la fotografia cambia il tono, conferendo alla pellicola un aspetto molto più cupo e riuscendo a rappresentare il tormento del nostro protagonista per intero.
La trama si occupa, oltre che di tutto l’iter che ha portato verso la prima del capolavoro, di un momento delicato nella vita del ben piazzato maestro, ovvero le difficoltà nel rapporto con la moglie, figura che è stata decisiva in tutti i suoi lavori.
Grazie ad un sapiente montaggio, si capisce come queste turbolenze vadano a segnare la realizzazione del film e a dargli il taglio che tutti gli conosciamo. La scena della doccia (si “quella” scena della doccia) è riproposta in maniera ovviamente diversa, ma riesce a essere inquietante come nell’originale, proprio perchè se ne conosce la genesi.
Per il resto si tratta di un interessante racconto dei vari passaggi tecnici e umani che sono stati affrontati per riuscire a dare vita al grande classico, dalla scelta di attori e sceneggiatori, alle battaglie con la censura, alla ricerca dei fondi.
Una bella storia che ha il difetto di cadere un pò troppo nel sentimentale nelle fasi finali arrivando ad essere in contrasto con il personaggio scostante portato in scena da Hopkins.
Hopkins stesso, forse, calca un pò troppo la fisicità della sua recitazione, ma visto che il personaggio intepretato aveva dalla sua un modo di fare piuttosto caratteristico, probabilmente è giusto così. Da segnalare la somiglianza davvero impressionante tra James D’Arcy e Anthony Perkins. Pareva di vedere di nuovo lui in scena.

Non c’e molto altro da dire sul film. Offre qualche spunto che per me è stato inedito e che permette di ragionare un pò sul rapporto tra i vari personaggi. Il che favorisce altre visioni, fattore che secondo me gli fa guadagnare qualche punto. Consigliato.

Mandi